Stato di emergenza

Seduta al tavolo che da sulla piccola piazza di Lurago, tra le luci soffuse del locale ascolto di sottofondo B. parlare in tedesco mentre conversa al telefono e fuma. Non capisco nulla ma sorride divertita.

Volto la testa, mi guardo in giro: la serata è fresca dopo il gran temporale di ieri, la gente seduta ai tavoli chiacchera e sorride, i camerieri vanno e vengono…tutto sembra semplicemente scorrere, scivolare… e io, sono in un paese già vissuto che sa di Europa, di mondo, d’ Estate che cala e del sapore fresco e amaro della birra che ho scelto.

Finale Emilia è lontana, la calura del campo, le cicale senza sosta, i piedi nudi e duri di chi ho trattato. Lontana…lontana……………………………………………………………….

All’improvviso sento di dover scrivere ed il mio scrivere è un’urgenza che mi preme il petto da dentro come il mio respiro sempre un pò dolente, sul punto di spaccarmi le costole e far saltare il diaframma, facendo rotolare fuori parole, lacrime e risa, amore e desiderio e vita, vita, vita….

B. finisce di parlare e mi chiede di Finale, della gente, della tendopoli….ma non so che dire: mi esce solo un “tutto bene”.

V. mi ha chiesto di provare a descrivere con le mani quello che sento, e io ci provo…le porto all’altezza del petto che cercano di aprire la mia cassa toracica, tutto si espande…dentro…, tutto diventa urgenza ed emergenza e dolore del vivere….poi insieme alle stesse mani incerte a mezzo volo, tutto resta sospeso e mi rimesto il viso carezzando la bocca….

Non verbalizzo.

Il solito grazie.

Finale l’ho lasciata nei campi inondati di nebbia la mattina della mia partenza: un cenno agli alpini volontari, un cenno al barista della stazione e poi solo moto solo strada e silenzio.

Non c’è musica in questo viaggio, così come non ce n’era durante i trattamenti: solo respiri che si mescolavano, sonni appesi, sogni umidi e corpi.

Volevo fosse così, volevo un viaggio silenzioso per arrivare, volevo un silenzioso restare e un silenzioso tornare, volevo stare a cavallo di un’appendice tutta mia, con il mio zaino storto tenuto insieme dai vecchi lacci elastici, volevo solo una sosta per una sigaretta e un’occhiata alle indicazioni scritte sopra un foglio per appunti accanto al telefono di V.

Volevo la notte dentro al campo, sola nella grande tenda dove ancora mi pareva di toccare gli occhi intensi dei colleghi sempre pronti a mettere le mani sui dolori e le stanchezze mescolati ai sorrisi aperti e dolci, alle parole tenui.

E ora qui con questa emergenza di tornare ancora lì, vedo i giorni scivolare nell’Agosto desolato e assonnato…e cerco musica e parole che mi spoglino dentro, che mi accarezzino gli occhi stanchi, cerco le mani sul viso come confini.Image

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